Attacco incendiario agli uffici dell’Office National des Forêts [Ente nazionale delle foreste; NdT], a Aubenas (dipartimento dell’Ardèche, Francia), la notte dal 5 al 6 ottobre.
Ho sentito dire che le foreste devono essere “gestite”. Peggio, che devono essere “pulite”.
Ho sentito dire che le foreste devono essere “allestite”, per essere redditizie, accessibili, attraenti. Che è opportuno che la gente vi passeggi la domenica, su sentieri affidabili e spaziosi, con i cani al guinzaglio, pic-nic su tavoli previsti a questo scopo.
Ho sentito dire che le foreste devono essere “protette”. Cioè “controllate”.
Ho sentito dire che si dovevano piantare gli alberi in fila, per produrre taccuini sui quali scrivere appunti interessanti, libri dal contenuto insipido, riviste istupidenti e scaffali per sistemare tutto questo.
Ho sentito dire che, grazie alle leggi ed ai partiti ecologisti, che bisognava sostenere, avevamo i mezzi per difendere la foresta dai/le cattivi/e industriali.
Ho sentito dire che non bisognava raccogliere la legna morta, per non turbare un ecosistema fragile.
Ho sentito dire che non bisognava uscire dai sentieri, per non rovinare le piante.
Ho sentito dire che passeggiare solo/a in una foresta poteva essere “pericoloso”.
Ho sentito dire che non bisognava fare dei fuochi, perché questo potrebbe distruggere la foresta. Ma il taglio a raso di tutti gli alberi, nessun problema?
Ho sentito dire che durante il lockdown si poteva andare nei supermercati, ma non raccogliere piante. Che negli altri momenti bisogna munirsi di un permesso. Non il permesso delle piante, cari/e i miei ingenui/e, ma il permesso dell’amministrazione pubblica.
Ho sentito dire che dovrei essere contento/a dell’esistenza dei “parchi naturali”.
Ho sentito dire che le foreste avevano dei proprietari. Che questi proprietari non erano i suoi abitanti muniti/e di peli, di piume e di corteccia.
Ho sentito dire che questi/e abitanti dovevano essere regolati/e attraverso delle quote di caccia.
Ho sentito dire che i cani dovevano essere tenuti al guinzaglio, ma che gli esseri umani – che possiedono un permesso dello Stato – potevano uccidere a loro piacimento, con armi così sofisticate che esse non chiedono loro nemmeno più qual’è la loro preda.
Ho sentito dire che bisognava sensibilizzare al “rispetto della natura” dei/lle giovani che vengono fatti/e crescere in mezzo al cemento.
Ho sentito dire che una società ultra-tecnologizzata poteva essere “ecologica”.
Ho sentito dire che si qualifica dell’appellativo “sostenibile” ed “ecologico” la distruzione del 99% degli alberi di un appezzamento, la formazione di solchi di 40 cm di profondità nel fango ed i mostri di metallo, nutriti col petrolio, necessari per fare tutto ciò. Ho sentito il rumore degli alberi che cadono, delle macchine che radono, il rombo dei 4×4 dei “protettori” della foresta.
Ho sentito dire che una segheria poteva essere “autogestita”. Lo sfruttamento del legname ottimizzato, al servizio di una causa giusta, dell’”alternativa”.
Ho sentito dire che bisognava piantare degli alberi per salvare la specie umana.
Ho sentito dire che si poteva piantare un albero acquistando un pacchetto di pasta.
Ho sentito dire che gli alberi potevano guarire il cancro. Ma chi li guarirà dalla nostra presenza?
Allora mi sono tappato le orecchie ed ho gridato. Gridato così forte che le foglie degli alberi hanno fremito. Gridato così a lungo che la mia voce e le altre si sono prosciugate. Una volta tornato il silenzio, mi sono ricordato di altre cose che avevo imparato.
Ho imparato che il controllo delle foreste significa il controllo delle popolazioni, il controllo della mia vita.
Ho imparato che l’essere umano è sciocco, vigliacco, ignaro o tristemente realista. Che quando gli si danno due botte, si persuade che è per il suo bene, oppure si rallegra che non ce ne sia una terza. Che è perfino fiero di essere uscito dal suo “stato di natura”. Bel passo in avanti!
Ho capito che non amavo la foresta soltanto per la ricchezza di vita, di morte, e di quello che c’é fra questi due, che la costituisce, che la mia repulsione per la sorte che le è riservata non era semplice empatia, ma che erano anche le mie stesse possibilità che si trovavano ristrette, controllate, allestite, distrutte.
Poi mi sono ricordato degli atti di sabotaggio contro la distruzione delle foreste. Delle macchine vandalizzate, delle segherie bruciate, degli umani attaccati.
Mi sono ricordato/a che potevo agire e non limitarmi a rendermi sordo/a e cieco/a per proteggermi. Allora ho partecipato all’attacco incendiario contro gli uffici dell’Office National des Forêts, a Aubenas, la notte dal 5 al 6 ottobre.
Una atto certo derisorio, di fronte alla distruzione, ovunque sul pianeta, di quello che resta di vivente in questo mondo. Eppure, un atto che vuole significare di più del suo impatto concreto. Ed è affinché non sia un semplice fatto di cronaca ignorato dai media, che scrivo. Perché esso significa anche che è possibile organizzarsi per attaccare direttamente questa società di gestione, di controllo e di sfruttamento. Una società che si ritrova nei nostri comportamento costruiti, i quali devono essere combattuti, ma anche nelle istituzioni, che non bisogna dimenticare di cercare di distruggere.
Un saluto, in questa occasione, a quelli e quelle che non hanno dimenticato di attaccare, di non sottomettersi, di riflettere e di fare dei tentativi.
Coraggio a quelle e quelli che sono in prigione per le loro idee o i loro atti.